La Galleria Marelia (via Torretta, 4, Bergamo) ha ospitato nell’ambito di The Blank ArtDate – Frequenze (maggio 2018), la mostra di Claudio Centimeri “Melanconia con furore” a cura di Paola Casari.
L’ottava edizione del festival The Blank ArtDate, le tre giornate dedicate all’arte contemporanea, si è proposta in una versione eterea ed immateriale, concentrando principalmente gli eventi su audio, video, performance e talk.
L’artista Claudio Centimeri propone una serie di scatti fotografici realizzati all’interno degli spazi dell’ex manicomio di Mombello, oggi luogo di totale abbandono, che pochi conoscono, ricordato come uno dei più spaventosi luoghi d’Italia, dove le urla assordanti delle anime che occuparono quelle stanze sembrano ancora riecheggiare nell’aria. Il disagio psichico è, per chi non l’ha provato, un male lontano, sconosciuto e spesso non riconosciuto.
Impossibile da visitare perché vietato, nel tempo gli spazi sono stati violentati e resi fatiscenti. Per Claudio Centimeri l’ex manicomio rimane un luogo da documentare e reintepretare come spazio che ha ospitato la sofferenza di poveri, prostitute, professori, pittori e di molti personaggi celebri. Una delle più conosciute poetesse del XX secolo, Alda Merini, ne fu “ospite”. Leggiamo oggi il suo dolore nelle commoventi poesie e la disperazione nei disegni dell’artista Gino Sandri che su quei letti si è addormentato per sempre. L’ospedale psichiatrico di Mombello è stato la tomba anche per Benito Albino Dalser figlio illegittimo di Benito Mussolini.
Il percorso espositivo in galleria si articola in due sezioni. Al piano terra sono esposte dodici stampe su carta di una serie selezionata da scatti fotografici presi da Claudio Centimeri all’interno dell’ex manicomio. Ogni fotografia è fruibile in tre dimensioni, attraverso stereoscopi montati a parete.
Scientificamente per percepire le tre dimensioni dello spazio circostante, i nostri occhi ricevono due immagini diverse della realtà, da due angolazioni differenti, con uno scarto di circa 6 centimetri.
E’ il cervello che unendole, restituisce il senso di profondità e quindi la visione tridimensionale. Per ciascuno scatto fotografico Claudio Centimeri presenta due immagini allineate e accoppiate nella sequenza corretta per la visione (la prima per l’occhio sinistro, la seconda per l’occhio destro). A fianco, l’artista presenta le stesse immagini in sequenza invertita.
Attraverso gli stereoscopi si potranno scoprire così due percezioni diverse dello stesso spazio: una coinvolgente, l’altra respingente. Qual è quella che ci appartiene? Qual è associante e quale dissociante? La follia, quale delle due realtà restituisce? E qual è la normalità?
Paola Casari
Videoinstallazione melanconica
Al piano seminterrato della galleria si trova una videoinstallazione che completa il concetto della percezione sul quale si basa il lavoro dell’artista. Un’opera altra che unisce reale a virtuale per regalare un’esperienza coinvolgente e straniante. Qual è la realtà della follia, quella tangibile o quella nascosta? Quella visibile o quella che si crede di vedere? Ognuno vive la propria follia vivendo o credendo di vivere una realtà che è una proiezione del propri desidero. La realtà non esiste perchè distorta dalla propria percezione.
Arte, emozione, terapia.
Essere di fronte ad un’opera d’arte può voler dire molte cose. Può voler dire mettersi allo specchio, trasformare l’oggetto, la tela, ciò che si vede in una superficie riflettente. La luce allora ci restituisce un’immagine chiara e limpida se lo specchio è in ottime condizioni, a volte velata e torbida se lo specchio ha subito i segni del tempo. Guardare un’opera significa trovarsi davanti a se stessi, significa ascoltare il proprio pensiero e ricevere l’emozioni che, credo, debba ridare. Non esiste forma – vera – d’arte che non restituisca un’emozione, unico fine autentico dell’arte stessa. Talvolta ci si trova davanti a lavori che – pare – non diano nulla, dove l’interpretazione del fruitore spesso non coincide con le intenzioni dell’autore. In questo caso chi è l’artista? Il fruitore che osserva o colui che ha realizzato l’oggetto d’arte? C’è alla base un errore? O è tutto lecito? Per godere di un dipinto, una scultura, un’installazione, deve essere necessario un “libretto d‘istruzioni”? In quel caso un robot da cucina potrebbe trasformarsi in un oggetto d’arte, da interpretare e studiare. E allora cos’è l’arte? Emozione. Ed emozione è coinvolgimento. E’ associazione della propria attenzione all’oggetto che si ha innanzi. Uso il termine “associazione” come stato d’animo contrario alla “dissociazione” dell’attenzione, disturbo della psiche, patologia frequente nel mondo moderno: stato d’animo che racchiude il sè sotto ad una campana di vetro liscia al tatto, dove esiste solo il proprio odore, dove il sapore è la propria bocca amara, dove il suono è ovattato, dove la vista è annebbiata dallo spessore di quel vetro che diventa antiproiettile; infrangibile, protettivo e imprigionante allo stesso tempo. Utero materno e prigione. Giacilio per riposare o letto di terapia intensiva. L’opera si trasforma in una delle due cose. Non ci sono alternative, il grigio non esiste, esiste solo il bianco o il nero. L’emozione o il nulla. Coinvolgimento o estraneazione. Per una persona “normodotata” la vista rimane il senso che più permette l’espolarazione del circostante. Il percorso stereoscopico del mio lavoro allora parte da qui, dall’occhio, con l’intenzione di restituire coinvolgimento ed estraneazione al visitatore. Coinvolgimento per emozionare, per regalare l’ascolto di se stessi davanti ad un luogo di simile sofferenza come il manicomio di Mombello. Estraneazione per emozionare, per regalare l’ascolto di sè stessi davanti ad un luogo di simile sofferenza come il manicomio di Mombello. Già, due frasi uguali che descrivono stati d’animo opposti ma equivalenti, due poli della stessa batteria, sole e notte dello stesso giorno. Chi può giudicare ciò che è “normale” da ciò che non lo è? Solo la mente lo può fare, reinventando la realtà e restituendo i cinque sensi reinterpretati secondo i propri parametri dalla soggettività infinita. Soggettività che ha lo stesso valore in ognuno. La soggettività di un mentecatto che soffre della peggiore patologia psichiatrica (ha senso dire peggiore?) ha lo stesso valore della soggettività del più grande scienziato di tutti i tempi. E allora la realtà degli spazi di Mombello, ora sfigurata, qual è? Quella che crediamo di vedere noi oggi, mediata dalla nostra mente “normale”, o quella di allora mediata dalla mente di un paziente psichiatrico? Quale degli stereoscopi restituisce la verità? Quale è in grado di ridarci un emozione? Qual è lo spazio reale e quello distorto?
Claudio Centimeri
I Queen e gli stereoscopi della mostra
Per la visione degli stereogrammi la mostra “Melanconia con Furore” utilizza dei visori stereoscopici OWL applicati alle pareti. Gli stereoscopi OWL sono stati brevettati da Brian May, noto chitarrista dei Queen, appassionato di stereoscopia. Brian ha rifondato nel 2008 The London Stereoscopy Company (la società originale risale al 1854), con la quale ha realizzato diverse pubblicazioni stereoscopiche. Attraverso gli oculari 3D è possibile visionare le immagini secondo la spazialità corretta e distorta. Le opere vengono fornite con i medesimi stereoscopi (nella foto stereoscopica sotto).
Su Issuu è disponibile il catalogo online.